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L'oscena passione per la guerra
l’oscena passione per la guerra Sabato 24 febbraio ore 10/13, 15,30/19 Domenica 25 febbraio ore 10/ 13 ancora solo donne Cinema Farnese piazza Campo de’ Fiori Roma Non ci saranno interventi preordinati. La riflessione sarà libera. Ogni quindici giorni questo invito si ripeterà, e ogni invito sarà accompagnato da un testo. Il primo è questo piccolo racconto di Virginia Woolf che alleghiamo. Un saluto da Alessandra Bocchetti e Franca Chiaromonte L’iscrizione è necessaria per contarciLa quota per partecipare è di 30 euro, Fondazione Rut ETS, IBAN: IT22M 0501 8032 0000 0017 1512 42 servirà per pagare il luogo che ci accoglie e spese tecniche.Non accettiamo altri finanziamenti, non vogliamo sponsor. L’evento sarà solo nostro in tutti i sensi possibili, come sempre abbiamo fatto e come è scritto nella nostra storia.Per comunicare insiemeafebbraio@gmail.com --- 13 novembre 2023 Mie care, vi ricordate? abbiamo concluso la nostra riflessione di ottobre 2022 dicendo che noi donne dovremmo imparare a guardare l’umanità come il contadino guarda un campo di grano, come cosa nostra, fatta da noi. Oggi questo campo ci appare in rovina. Eravamo in tante, chi era venuta dal sud, chi dal nord come si faceva un tempo per i nostri appuntamenti importanti. A rimetterci insieme è stata anche la nostalgia ma soprattutto la necessità di dirci a che punto stavamo e la voglia della nostra vecchia pratica, la voglia di pensare insieme. Eccovi un altro invito: con voi questa volta, abbiamo voglia di pensare alla guerra, alla sua natura profonda, la guerra la più grande costante della storia, la grande passione degli uomini. Pensare alla guerra fuori dagli schieramenti perché, vi anticipiamo la nostra posizione, non siamo capaci di schierarci. Non siamo capaci di pensare chi ha torto, chi ha ragione di fronte non tanto alla morte quanto alla crudeltà che la guerra rende possibile e lecita. E’ ipocrita la conta dei bambini morti, ma ciò che sentiamo insopportabile è lo spavento che provano quei bambini da vivi. Il loro terrore ci sembra di non poterlo perdonare. Spaventare i bambini è un grande delitto, la paura non passa. Le donne hanno perso tutte le guerre della storia anche quando i loro uomini le hanno vinte. Viviamo male in questo mondo che ha perduto l’eros, dove i corpi possono ridursi troppo facilmente a forme geometriche e con una testa perché rotonda ci si può giocare a pallone e gli occhi possono essere meravigliose biglie. Le parole ci vengono meno, il sonno è sempre più difficile, sentiamo in noi salire una strana rabbia a cui dare senso. Da qui l’urgenza di essere ancora insieme. Alessandra Bocchetti e Franca Chiaromonte --- 11 dicembre 2023 Mie care, quando Einstein si rese conto che aveva messo mano in qualcosa di molto pericoloso, qualcosa che minacciava l’esistenza stessa del pianeta, fu preso da una grande paura. Il suo primo pensiero andò con terrore alla guerra e si chiese se c’era un modo di liberare gli uomini dalla sua fatalità. Cominciò a guardare allo smodato desiderio di potere politico che sottostà a ogni guerra. Chi decide una guerra è sempre una minoranza, e si chiedeva come era possibile che questa minoranza riuscisse ad asservire la massa del popolo che dalla guerra poteva avere solo sofferenza. Come era possibile, si chiedeva, che la massa si lasci infiammare. E si dette questa risposta: l’uomo ha dentro di sé il piacere di odiare e di distruggere. Era evidente. Questa psicosi è facile risvegliarla e farla diventare collettiva. Da quel giorno Einstein non dormi più bene. Il suo interrogativo costante fu: c’è un modo di resistere alla psicosi dell’odio e della distruzione? Così un giorno prese carta e penna e scrisse a Freud, pensando che se ne intendesse. Freud fu molto lusingato per essere stato interpellato da un così grande scienziato. Rispose subito. Iniziò vagheggiando sulla forza muscolare dell’uomo come determinante, poi sulla necessità del diritto, poi si confessò scettico sulla Società delle Nazioni e poi finalmente andò al sodo e disse che una pulsione distruttiva è presente in ogni essere umano. Ogni essere umano ha una pulsione di morte, può salvarsi solo rivolgendo all’esterno questa pulsione, non più cercando la propria rovina, ma la rovina degli altri. Non c’è speranza quindi di sopprimere l’aggressività perché l’aggressività è vitale. Insomma “Mors tua vita mea”. Ma Freud disse anche che un antagonista alla pulsione di aggressività esisteva, era Eros. Le pulsioni erotiche quelle che tendono a conservare, a unire, a curare. Disse: i legami emotivi tra gli umani agiscono contro la guerra. (Albert Einstein, Sigmund Freud, Perché la guerra? Bollati Boringhieri) Da tutto ciò non vogliamo trarre delle conseguenze adesso, anche se ai nostri occhi sono già abbastanza chiare. Un altro indizio. Durante una conferenza a Margaret Mead, famosa antropologa americana, fu chiesto quale fosse per lei il primo oggetto simbolo del processo di civilizzazione. La punta di una lancia, un bastone tornito, una ruota? Sorprendendo tutti rispose: un osso femorale guarito, di trentamila anni fa. Quell’osso raccontava di una persona impedita a muoversi, impedita a procacciarsi cibo che era stata curata e servita per il tempo necessario a guarire.” Il primo segno della nostra civilizzazione non era dunque riferibile ad armi o altre invenzioni, bensì all’attitudine umana di sapersi prendere cura degli altri…. Diamo il meglio quando serviamo gli altri, concluse Mead, esortando a rimanere civili: “Be civilized”. (Annabellle Hirsch, Una storia delle donne in 100 oggetti, Corbaccio)Ne parleremo insieme, se ne saremo capaci. Alessandra Bocchetti e Franca Chiaromonte --- 16 gennaio 2023 Mie care,la guerra è cosa di uomini l’abbiamo detto da sempre. Carla Lonzi ha potuto dire la frase “... siamo state fuori dalla storia...” perché aveva ben chiaro questo pensiero nella sua testa. Anche se intendiamoci, le guerre le donne le hanno fatte, chi ne è stata travolta, perdendo case, figli, anima e sonno, e chi invece ha proprio preso le armi per combattere.Ma non vogliamo parlare di questo adesso, vogliamo parlare di una guerra senza armi, la nostra. Vogliamo parlare di una guerra che abbiamo aperto con leggerezza, con allegria, senza renderci conto della sua portata, una guerra mondiale che riguarda tutte e tutti e anche il tempo, passato, presente, futuro. Forse perché siamo nuove oppure superficiali, oppure proprio ingenue, incoscienti, stupide. Per dire stupide si dice anche “nate ieri”, c’era un film degli anni 50, che si chiamava proprio così e raccontava di una donna stupida ma che in fondo non lo era. Si noi siamo nate ieri, la nostra libertà ha pochi anni, è bene ricordarcelo sempre, per questo delle volte proprio noi la maneggiamo maldestramente e a fronte il mondo ne è ancora terribilmente sorpreso e impreparato.Quante volte abbiamo pronunciato queste frasi: “le donne hanno cominciato a pensare se stesse”, “le donne vanno alla ricerca della loro felicità”, “la maternità da destino diventa scelta consapevole“, “dobbiamo risignificare la madre e farne un principio simbolico” . Ma proprio perché di tutto questo ne siamo state assolutamente felici che ci sfugge la dichiarazione di guerra che è implicita in quello che stiamo dicendo. Facciamo guerra al Patriarcato, ai suoi sensi, al suo potere e a secoli della sua storia. E ci troviamo in questa pericolosissima situazione: il Patriarcato è morto nelle nostre teste ma è ancora vivo nel mondo, i suoi dispositivi ancora funzionano.Per renderci conto della enormità della nostra impresa forse ci aiuterebbe che ogni volta ci trovassimo a dire nei nostri incontri “risignificare la madre...” oppure “maternità consapevole...” scoppiasse un tremendo tuono di quelli che fanno tremare la terra. Chissà forse così prenderemmo coscienza dell’impresa in cui ci siamo impegnate, da oggetti del Patriarcato a nemiche del Patriarcato.E’ bene dircelo una volta per tutte: siamo in guerra ma non volevamo dichiararla, volevamo semplicemente essere tutti felici.E’ bene tenere presente anche che ogni qual volta sentiamo nominare l’Occidente versus l’Oriente la guerra tra culture, per intenderci, di cui spesso sentiamo parlare, la posta in gioco è proprio la libertà delle donne che agli occhi di una parte risulta indecente, irriverente, peccaminosa e agli occhi dell’altra resta una buona scusa per fare la guerra, non altro ahimè. Alessandra Bocchetti e Franca Chiaromonte --- Pensieri di pace durante un’incursione aerea, scritto nell’agosto 1940Traduzione di Nadia Fusini La notte scorsa e quella ancora prima i tedeschi sono passati su questa casa. Eccoli di nuovo. È una strana esperienza stare sdraiati al buio e sentire il ronzio di un calabrone che in qualsiasi momento può pungerti a morte. È un rumore che impedisce ogni riflessione fredda e coerente sulla pace. Eppure è un rumore che assai più delle preghiere e degli inni nazionali dovrebbe costringerci a pensare alla pace. A meno di non riuscire a pensare alla pace, ognuno di noi, ognuna di noi – non solo questo corpo qui, il mio, steso su questo letto, bensì milioni di corpi non ancora nati – resteremo noi tutte e noi tutti così, al buio, ad ascoltare questo rantolo di morte sopra le nostre teste. Cerchiamo di pensare invece che cosa si può fare per creare il solo rifugio antiaereo efficace, mentre in alto in collina i cannoni rimbombano – pam! pam! pam! - e i riflettori tastano le nuvole, e qua e là, a volte vicino, a volte lontano, cade una bomba.In alto nel cielo giovani uomini inglesi e giovani uomini tedeschi si combattono. Sono uomini i difensori, sono uomini gli attaccanti. Alle donne inglesi non vengono consegnate le armi, né per combattere il nemico, né per difendersi. Devono giacere al buio inermi la notte. Eppure, se si crede che il combattimento in cielo sia una battaglia tra gli inglesi per proteggere la libertà, e i tedeschi per distruggere la libertà, anche le donne devono lottare, per quanto possono, dalla parte degli inglesi. Ma come si può lottare per la libertà senza armi da fuoco? Fabbricando armi, oppure uniformi, o alimenti?Invece no, c’è un modo di combattere per la libertà senza armi: possiamo combattere con la mente. Possiamo ‘fabbricare’ idee, che aiuteranno il giovane uomo inglese che combatte su in cielo a sconfiggere il nemico.Ma affinché le idee siano efficaci, dobbiamo essere in grado di ‘spararle’. Dobbiamo metterle in atto. Così il calabrone in cielo risveglia un altro calabrone nella mente. Ce n’era uno che ronzava sul Times di stamattina. Era la voce di una donna che sosteneva: “In politica le donne non hanno voce.” Non c’è nessuna donna al Governo, né in nessun altro posto di responsabilità. Coloro che producono idee, e sono in grado di attuarle, sono tutti uomini. Ecco un pensiero che affossa il pensiero, e incoraggia l’irresponsabilità. E allora, perché non nascondere la testa nel cuscino, turarsi le orecchie e abbandonare del tutto la futile attività di produrre idee? Ci sono altri tavoli, oltre ai tavoli dei piani bellici, e delle conferenze e dei negoziati. Ma rinunciando al pensiero, sedute al tavolo da tè, non priviamo forse il giovane inglese di un’arma che potrebbe essergli utile? Non stiamo esagerando la nostra incapacità, solo perché le nostre capacità ci esporrebbero magari all’insulto, al disprezzo? “Non cesserò di combattere con la mente,” scrive Blake. Combattere con la mente significa pensare contro corrente, e non a favore.La corrente scorre veloce, impetuosa. È un fiume di parole che straripa dagli altoparlanti e dalle bocche dei politici. Ogni giorno ci dicono che siamo un popolo libero, che combatte per difendere la libertà. Questa è la corrente che ha trasportato il giovane pilota su in cielo, e lo tiene lì, tra le nuvole. Quaggiù, sotto la copertura di un tetto, con una maschera antigas a portata di mano, è nostro compito bucare i palloni gonfiati che cianciano e smascherare i germi di verità. Non è vero che siamo liberi e libere. Sia noi sia il pilota siamo prigionieri stasera: lui imprigionato nella sua macchina con un’arma a portata di mano, noi sdraiate al buio con una maschera antigas a portata di mano. Se fossimo liberi, saremmo all’aperto, a ballare, a teatro, oppure seduti a chiacchierare alla finestra. Che cosa ce lo impedisce? “Hitler!” gridano unanimi gli altoparlanti. Chi è Hitler? Che cos’è Hitler? Aggressione, tirannia, amore forsennato del potere, rispondono. Distruggetelo, e sarete liberi. Libere.Sulla mia testa ora sento il rimbombo degli aerei, è come una sega contro il ramo di un albero. Vanno in tondo, e segano il ramo proprio sopra la mia casa. E nel cervello un altro rimbombo comincia. “Le donne capaci” - così diceva Lady Astor sul Times di stamani - “vengono frenate, ostacolate, sottomesse per via dell’inconscio hitlerismo presente nel cuore degli uomini.” È vero, noi tutte siamo ostacolate, bloccate, sottomesse. Stanotte siamo tutti egualmente prigionieri, sia gli uomini inglesi negli aerei, sia le donne inglesi nei loro letti. Ma se il pilota smette di pensare, può essere ucciso. E allora pensiamo noi al posto suo. Proviamo a trasportare alla coscienza l’inconscio hitlerismo che tutti e tutte ci opprime: il desiderio di aggressione, il desiderio di dominare e schiavizzare… Gli Hitler sono generati dallo schiavismo.Cade una bomba. I vetri della finestra tremano. Le contraeree entrano in azione. Là, in cima al colle, sotto una rete mimetica a toppe di stoffa verde e marrone, che imitano i colori delle foglie d’autunno, si nascondono i cannoni. Ora sparano tutti insieme. Il giornale radio delle nove ci dirà: “Quarantaquattro aerei nemici sono stati abbattuti nella notte, dieci dal fuoco delle contraeree.” Una delle condizioni della pace, dicono gli altoparlanti, dev’essere il disarmo. Non ci dovranno essere mai più né armi, né esercito, né marina, né forza aerea nell’avvenire. I giovani uomini non saranno più addestrati a combattere con le armi. Il che sveglia un altro calabrone nelle camere del cervello - un’altra citazione: “Combattere contro un nemico in carne e ossa, guadagnarmi così l’onore immortale e la gloria, uccidendo dei perfetti sconosciuti, tornare a casa con il petto coperto di medaglie e di decorazioni, quello era il colmo della speranza… A questo scopo avevo dedicato tutta la mia vita, la mia educazione, la mia formazione, tutto, finora …” Sono le parole di un giovane inglese che ha combattuto nell’ultima guerra. Davanti alle quali, gli attuali pensatori possono onestamente credere che, scrivendo “disarmo” su un pezzo di carta in una conferenza dei ministri, avranno fatto tutto ciò che si doveva fare per fermare la guerra? Otello potrà anche non farà più il suo mestiere, ma sarà sempre Otello. Il giovane pilota su in cielo non è guidato soltanto dalle voci degli altoparlanti; è guidato da voci che ha dentro di sé – istinti antichi, istinti incoraggiati e nutriti dall’educazione e dalla tradizione. È da biasimare per questo? Noi donne potremmo forse sopprimere l’istinto materno, se così ci comanda un gruppo di politici seduti intorno a un tavolo? Facciamo conto che fra le condizioni di pace ci fosse questa, imperativa: “Procreare è ristretto a una piccolissima classe di donne appositamente selezionate” - lo accetteremmo? O non diremmo: “L’istinto materno è la gloria della donna. A questo scopo è dedicata la sua vita, la sua educazione, la sua preparazione del corpo, tutto…” Ma se fosse necessario, per il benessere dell’umanità, per la pace nel mondo, che la maternità venisse controllata, e l’istinto materno represso, le donne ci proverebbero. Gli uomini le aiuterebbero. Le onorerebbero per la loro rinuncia a fare figli. Offrirebbero altre possibilità alla loro potenza creativa. Anche questo dovrebbe fare parte della nostra lotta per la libertà. Noi donne dobbiamo aiutare i giovani uomini inglesi a strapparsi dal cuore l’amore per le medaglie e per le decorazioni. Dobbiamo creare attività più onorevoli per chi prova a dominare dentro di sé l’istinto bellico, l’inconscio hitlerismo. Dobbiamo compensare l’uomo per la perdita delle armi.Il rumore di sega sulla mia testa aumenta. Tutti i riflettori sono ora puntati su in alto. Verso un punto che sta esattamente sopra questo tetto. In qualunque momento può cadere una bomba in questa stanza. Uno due tre quattro cinque sei… I secondi passano. La bomba non è caduta. Ma durante quei secondi di attesa, il pensiero s’è bloccato. Tutte le sensazioni si sono bloccate, tranne la sensazione opaca della paura. Un chiodo crocefigge l’essere mio tutto intero contro un’asse di legno solido. La paura e l’odio sono emozioni sterili, improduttive. Non appena la paura passa, la mente si riprende e d’istinto torna a vivere, a creare. Siccome la stanza è al buio, si può creare soltanto grazie alla memoria. La mente si protende verso il ricordo di altri mesi d’agosto - a Bayreuth, a sentire a Wagner; a Roma, a passeggio per la campagna romana; a Londra. Riaffiorano le voci degli amici. Frammenti di poesia. Ognuno di questi pensieri, anche nel ricordo, è assai più positivo, rinfrescante, consolatore e creativo dell’opaco spavento fatto di paura e di odio. Perciò, se vogliamo compensare quel giovane uomo della perdita della gloria e delle armi, dobbiamo aprirgli l’accesso ai sentimenti creativi. Dobbiamo fare, creare la felicità, dobbiamo liberarlo dalla macchina, dobbiamo tirarlo fuori dalla sua prigione, trascinarlo all’aperto. Ma a che cosa serve liberare il giovane inglese, se il giovane tedesco e il giovane italiano rimangono schiavi?I riflettori accesi sulla pianura hanno finalmente scovato l’aereo. Dalla finestra si vede un piccolo insetto argentato che rotea nella luce. I cannoni sparano e sparano, pam, pam, pam! Poi cessano. Probabilmente, dietro il colle, l’aereo incursore è stato abbattuto. L’altro giorno, un pilota tedesco è atterrato sano e salvo in un campo qui vicino. In un buon inglese, ha detto a chi l’ha catturato: “Come sono contento che il combattimento è finito!” Al che l’uomo inglese gli ha dato una sigaretta, e la donna inglese gli ha offerto una tazza di tè. Questo starebbe a dimostrare che se si riesce a liberare l’uomo dalla macchina da guerra, il seme non cade in un suolo completamente sterile. Il seme può ancora fecondare…