Questo non è amore
Ma nemmeno contrasto alla violenza maschile
7 Luglio 2016
Le donne che ricevono botte e insulti, che vengono stuprate e che assistono ai loro ultimi istanti di vita per mano dei propri partner non pensano di essere amate, anzi forse pensano di essere odiate e di non poter essere amate da nessuno. Né difese dallo stato. Alcune hanno pensato di esserlo, amate, forse nell’approccio iniziale con un uomo, quando la promessa non erano né botte né insulti e neanche la paura di essere uccise. Quando una donna dovrebbe essere convinta che quello non è amore sa già che quel comportamento non è amore perché la violenza del partner l’ha già fiaccata, manipolata, uccisa dentro.
Alcune altre sanno fin da principio di non essere amate, sanno di essere merce, perché l’uomo che hanno di fronte le considera da sfruttare, le obbliga, le ricatta e le insulta da subito.
Che senso ha, allora, intitolare la campagna antiviolenza del Ministero dell’Interno in un paese sconvolto da femminicidi e stupri, con la locuzione “questo non è amore” se non suggerire ancora una volta che le donne cadono vittime di sé stesse e delle loro illusioni?
Per far emergere il sommerso e andare verso nuove norme penali mentre non riesce a affrontare l’obiettivo minimale di tenere il conto annuale delle donne ammazzate e sostenere una parte risibile delle vittime, come recita l’On. Alfano. Forse per questo si dovrebbe almeno fare l’essenziale, per esempio l’abolizione dell’art. 1 del Codice di Pubblica sicurezza, che troppo spesso è quasi la prescrizione di modalità di dissuasione dalla denuncia da parte delle donne per la violenza in famiglia.
Per andare oltre si dovrebbero non nascondere i numeri degli stupri e delle vittime uccise. Ma che cosa induce il Ministro Alfano a incardinare le sue azioni su dati falsi e reclamando la positività di quello che invece è il sostanziale fallimento delle politiche governative e del modo di applicarle? È semplice e crudele la verità: il ministro pensa che valga la pena contrastare solo ed unicamente le violenze perpetrate contro “le mogli e le fidanzate”, insomma le donne “di” attraverso la polizia che troppo spesso non riesce a intervenire quando le donne lo vorrebbero.
A parte il sottile insulto contenuto nella locuzione usata per intitolare la campagna governativa, la conferenza stampa di presentazione non ha chiarito nessuno degli aspetti che preoccupano le donne e devono preoccupare la rete antiviolenza, quella che opera secondo i protocolli internazionali e la Convenzione di Istanbul. Aspetti che preoccupano anche noi.
Ci domandiamo se, a causa di questa fantasiosa e ingiustificata iniziativa, camper per tre mesi in 14 città per una volta a settimana, verranno sottratti altri fondi ai centri e alla rete delle donne. Ci domandiamo perché si parta con operatori di polizia a cominciare da Piazza Montecitorio. Ci chiediamo quanto ci costerà questo ulteriore indizio di definanziamento dei centri delle donne già in grande sofferenza o in via di chiusura, a favore di iniziative prese da soggetti elettivamente fuori dalla logica di contrasto stabilita in modo condiviso a livello internazionale dalle donne.
Quello che sta avvenendo con questa iniziativa è una vera e propria usurpazione di uno spazio dove il magistero delle donne è irrinunciabile ed insostituibile. Grazie alla sua autonomia! Quella che oggi vediamo è la dimostrazione implicita che la politica dell’antiviolenza dei governi italiani snatura il principio stesso del contrasto alla violenza sessuata. Il principio è la libertà delle donne dalle minacce ma anche dalle “protezioni” non richieste e che dimostrano la contraddizione sia con la logica delle leggi italiane che delle convenzioni internazionali.
Inutile dire che l’abbandono delle vittime di tratta, sostanzialmente affidata al circolo vizioso della beneficenza “d’emergenza” quando ogni danno è compiuto, l’indifferenza verso le periferie desertificate ed affidate all’autogoverno dei patriarcati locali, la sostanziale cancellazione dei protocolli di genere nella pubblicità e nell’informazione, sono la cifra di politiche governative che si muovono all’insegna dell’annuncio mediatico guidato dalle fantasie personali di ministri e funzionari, refrattari ad ogni tipo di formazione corretta sul contrasto alle violenze.
Quattordici camper gireranno per l’Italia “che si vede”. Quattordici città tra le quali non vediamo la Caivano di Parco Verde. Quattordici città tra le quali, non ne vediamo alcune forse troppo scomode.
Non possiamo non chiederci quando vediamo, passando per alcune strade, bambine che anno per anno, sempre allo stesso posto, diventano grandi all’ombra dei clienti, se le leggi e le istituzioni Italiane siano capaci di misurarsi coi drammi femminili.
Noi non chiediamo al ministro se davvero crede che i camper accoglieranno “la domanda sommersa delle donne” (a piazza Montecitorio?), gli chiediamo di uscire dagli annunci e parlare davvero di cosa sia la violenza, di come si fa prevenzione, sostegno alle donne, formazione di tutti i soggetti coinvolti come le forze dell’ordine in modo sistematico per sostenere le donne, l’applicazione delle leggi esistenti e del piano nazionale e i progetti che prevede in tutto il territorio nazionale senza toccare i fondi di chi fa il lavoro dell’antiviolenza sul serio. O sprecarne altri solo per ragioni propagandistiche!
Inutili!