La 194 NON si tocca!

 Nel Ddl 19/2024, quarto dei decreti nati con l’obiettivo di rendere più semplice e veloce la realizzazione degli investimenti finanziati dal Pnrr, è presente una norma che l’Unione Donne in Italia ritiene non sia attinente agli obiettivi di tale piano. Difatti nel testo finale da votare a stretto giro nell’aula parlamentare, approvato venerdì scorso dalla Commissione Bilancio della Camera dei deputati, è presente una disposizione che consente alle Regioni, nell'organizzare i servizi dei consultori, di "avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche del coinvolgimento di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità".   Tale precetto, contenuto in un emendamento all’art. 44 del Ddl 19/2024, a prima firma di Lorenzo Malagola di FdI, consentirà alle associazioni antiabortiste di presidiare i consultori pubblici, dove le donne si recano per avviare la pratica per l'interruzione di gravidanza. Ben si conoscono i metodi di tali associazioni che si rivolgono alle donne che stanno andando ad abortire chiamandole “mamme” e danno informazioni errate e fuorvianti sulla procedura dell’interruzione volontaria di gravidanza. Si ingenera così un’azione colpevolizzante per la donne, sia per quelle che avevano scelto di interrompere la gravidanza, magari in seguito a una diagnosi prenatale patologica di anomalia del feto, sia per quelle che avevano avuto un aborto spontaneo, sia per quelle che non se la sentivano di divenire madri per svariati motivi.  L’Unione Donne in Italia esprime la sua ferma disapprovazione per una norma del genere, che considera una vera e propria minaccia alla libertà delle donne ed un attacco ben specifico alla laicità delle istituzioni pubbliche. Fa oltremodo riflettere che, mentre il Parlamento europeo pochi giorni fa abbia votato a favore dell'inserimento dell'interruzione di gravidanza nella Carta dei diritti fondamentali dell'Ue, il governo italiano inverta la rotta. Fa ancora di più adirare che questa norma consenta l’utilizzo dei fondi del Pnrr per finanziare queste associazioni e non per attuare ben altre scelte politiche a favore delle donne in Italia.  Quelle di rilancio dei consultori pubblici come luoghi funzionanti per le loro esigenze in tutto l’arco della propria vita, ossia sia per ciò che attiene alla prevenzione ed alla contraccezione, nel rispetto dell’autodeterminazione delle donne in tema di maternità consapevole, sia per affrontare i problemi relativi alle gravidanze a rischio nonché quelli attinenti alla menopausa. Dai fondi pubblici provenienti dal Pnrr dovrebbero attingersi le risorse necessarie alla predisposizione di asili nido accessibili e con orari adeguati ai bisogni delle lavoratrici, alla attuazione di misure a supporto della genitorialità, all’attivazione nelle scuole pubbliche italiane di percorsi di educazione sessuale e di promozione di comportamenti sicuri.  La legittimazione dell’ingresso delle associazioni antiabortiste nei consultori pubblici, così come prevista del Ddl 19/2024, a nostro parere, ostacola il diritto all'aborto in maniera surrettizia, permettendo l'acceso in tali strutture di enti che nei loro statuti sono espressamente contrari alla legge 194.Facciamo, conseguentemente, nostre le parole di Simone de Beauvoir:"Non dimenticate mai che sarà sufficiente una crisi politica, economica o religiosa perché i diritti delle donne siano rimessi in discussione. Questi diritti non sono mai acquisiti. Dovrete rimanere vigili per tutta la vita". E l’Unione Donne in Italia vigilerà!         UDI - Unione Donne in ItaliaSede Nazionale Archivio CentraleVia della Penitenza 37, 00165 RomaSegreteria e Archivio 06 6865884    Amministrazione e Fax 06 68807103INSIEME SI PUÒ!con il 5x1000 sostieni l'UDI e l'Archivio Centralec.f. 800 781 90 586 Unione Donne in Italia - Un'idea che fa Storia

Lettera aperta a Giorgia Meloni sul caso Ilaria Salis

                                                                           Alla presidente del Consiglio dei Ministri                                                                                                                 On. Giorgia Meloni Signora Presidente,condividiamo in questi giorni le preoccupazioni espresse da più parti e, principalmente, dalla famiglia per il prolungarsi della detenzione in Ungheria della nostra concittadina Ilaria Salis.Le immagini e le notizie sul trattamento processuale e detentivo applicati per un procedimento incentrato su accuse per reati contro persone che non hanno sporto denuncia, hanno creato una forte eco dentro e fuori dai nostri confini e un grande sconcerto.Sconcerto, ma soprattutto un forte sentimento di attesa, da parte nostra e di moltissime donne, per quanto il governo da lei rappresentato vorrà disporre per la salvaguardia della Salis e per l’affermazione della normativa comunitaria e internazionale per la protezione dei cittadini fuori dai confini nazionali.I troppi commenti provenienti da fonti ministeriali non precisamente coinvolte sul caso, ci fanno temere che siano intervenute motivazioni non propriamente attinenti alla vicenda processuale, per di più, apertamente ostili al rientro della nostra concittadina.Da alcune interviste, in particolare quelle rilasciate dal padre e dall’avvocato difensore a Radio24, abbiamo appreso che una cittadina tedesca incensurata, come Ilaria Salis, con lo stesso tipo di accuse è stata rimandata in Germania con arresti domiciliari. Quali differenze intercorrano tra le due imputate con le stesse accuse per determinare un trattamento tanto diverso, ci domandiamo senza poterci dare una risposta.Nel fare queste considerazioni siamo confortate dalla certezza di essere in un paese libero dove la protesta contro la gestione delle carceri, teatro a volte di tortura e abusi, è non solo ammessa, ma anche fonte di ispirazione per la politica. Altrove questo è inammissibile, come inammissibili sono le norme per la tutela delle donne e della loro dignità in ottemperanza a quanto previsto dalla Convenzione di Istanbul.La ratifica da parte dello stato italiano di detta convenzione lega le nostre istituzioni all’esercizio dell’estensione della tutela sulle cittadine italiane oltre i confini, nonché alle donne cittadine di paesi che non ne hanno assunto la normativa.Crediamo che in presenza di tante competenze e fonti, magari di concerto col competente ministero per le pari opportunità, sarà possibile per lei muoversi, nel pieno rispetto delle autonomie di un altro stato, affermare la determinazione applicativa dei diritti di una cittadina italiana.È sotto gli occhi di tutti ormai che il processo a Ilaria Salis può pericolosamente trasformarsi in un processo politico al dissenso e a chi lo esprime e pensiamo che spetti a lei dire parole risolutive e compiere atti che non mettano in forse l’autorevolezza delle istituzioni italiane.                                                                      Unione donne in Italia​   

Comunicato UDI - Direttiva Europea

L’Unione Europea ad oggi non ha ancora predisposto leggi specifiche per contrastare a livello sovranazionale la violenza di genere, anche se ha ratificato nella seconda metà del 2023 la Convenzione di Istanbul, il trattato internazionale contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 7 aprile 2011 ed aperta alla firma l'11 maggio 2011 a Istanbul.   L’8 marzo del 2022, in occasione della Giornata internazionale della donna, la Commissione europea  propose una nuova direttiva per contrastare la violenza di genere. L’obiettivo prefissosi era di  uniformare le normative nazionali  su diversi crimini, fra cui lo stupro, la mutilazione genitale femminile, la sterilizzazione e i matrimoni forzati, lo stalking online e la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti. In tale direttiva, in linea con la Convenzione di Istanbul lo stupro a livello europeo si configurava come un «rapporto sessuale non consensuale».  La proposta normativa nella sua interezza era stata accettata dal Parlamento Europeo a giugno del 2023, senonché occorreva anche il voto favorevole del Consiglio dell’Unione Europea, un organo composto dai ministri degli stati membri che, insieme al Parlamento, detiene il potere legislativo dell’Unione. Nella fase di negoziazione per giungere ad un testo condiviso dai tre organismi competenti, la Commissione che ha proposto la direttiva, il Parlamento e Consiglio, è successo che alcuni Paesi, in particolare la Francia e la Germania, si sono posti di traverso riguardo alla definizione e l’inclusione del reato di stupro nella direttiva, inducendo la presidenza attuale del Consiglio dell’Unione Europea ad eliminare la definizione di «molestie sessuali nel mondo del lavoro» ed a ritirare l’art. 5 della direttiva, indicante lo stupro come un «rapporto sessuale  non consensuale».   Il timore di questi Stati è che la normativa sovranazionale si imponga su quella delle loro legislazioni che, nel caso dello stupro, non attribuiscono in modo esplicito al consenso un ruolo prioritario, ma invece si incentrano, come in Italia, sulla  circostanza che le aggressioni sessuali, per essere perseguite e punite, debbano avere certe caratteristiche, quali la violenza, minaccia e costrizione oppure, come altri Stati, che la vittima debba avere espresso il proprio dissenso. Eppure  dai più importanti studi sulla violenza sessuale si evince sia che durante uno stupro la paura molte volte rende inerme la vittima, impedendole sia di parlare che reagire, come anche si rileva che nelle aggressioni sessuali non sempre si riscontrano modalità brutali o intimidatorie.Appunto per  uniformare le diverse normative nazionali in tema di diritto penale sul reato di violenza sessuale, erano intervenute sia la Convenzione di Istanbul del 2011, che individuò lo stupro come un «rapporto sessuale non consensuale», sia la Convenzione ILO OIL del 2019, la prima normativa internazionale definita per prevenire e contrastare la violenza e le molestie nel mondo del lavoro. La mediazione effettuata dalla Presidenza belga del Consiglio D’Europa, per pervenire ad un testo condiviso della direttiva europea sulla violenza di genere, vede l’Unione Donne in Italia nettamente contraria. Lo stralcio degli articoli 4 e 5 ci appaiono come un palese passo indietro, inducendoci a chiedere alle istituzioni competenti di tornare al testo approvato dal Parlamento europeo lo scorso anno.  Non possono esistere arretramenti sul concetto stesso di stupro che deve sostanziarsi come reato sussistente in mancanza di un espresso e consapevole consenso al rapporto sessuale. Mediazioni sulla pelle  e la dignità delle donne europee non sono accettabili, per lo più in un momento storico che invece richiede chiarezza ed uniformità di intenti normativi. Ove essa si svenda per salvaguardare la difformità delle normative nazionali in tema di violenza di genere, viene meno il tentativo, posto in essere dalla direttiva approvata lo scorso giugno dal Parlamento europeo, di pervenire ad una risoluzione chiara di un problema diffuso e sempre più presente nel dibattito pubblico e politico europeo. Piuttosto, allora, preferiamo che non ci sia alcuna mediazione e che il Parlamento europeo non approvi un testo nettamente al ribasso che dimostra ancora una volta come la tutela delle donne passi in secondo piano a favore dei giochi di potere che denegano i loro diritti.      

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