Interruzione volontaria di gravidanza: una guerra globale anche in Italia

La guerra contro la legge 194, da quarant’anni a questa parte, richiede parole spesso uguali su scenari che cambiano e quasi sempre in peggio.

La questione dell’aborto, ormai vera cartina di tornasole per stabilire lo stato di cittadinanza femminile in un mondo maschile e patriarcale, non è mai vinta del tutto o per sempre, non solo in Italia. Le donne polacche che riempiono le strade per difendere un loro diritto, sono lì a dimostrare che quello dell’aborto è un tassello fondamentale della democrazia.

Le ultime vicende sulla RU486 legate alla regione Umbria, le illuminanti parole del capogruppo FDI nel Consiglio regionale delle Marche (che ha respinto l’adeguamento alle nuove linee guida del Ministro della Salute), dopo una interrogazione sul rispetto delle leggi dello stato da parte di una

consigliera Pd, parole che negano la legittimità della legge e delle linee guida del Ministro, imputando alle donne che scelgono l’IVG la denatalità del paese, compreso il paventato scivolamento verso la “sostituzione etnica” (chiaro riferimento, anche se non esplicitato, al “Movimento di ultra destra per il ritorno all’ordine naturale delle cose”, finanziato da miliardari e fondamentalisti reazionari), queste vicende e queste parole, dunque, chiariscono bene quanto lo scenario si sia allargato.

È globale, (anche se si manifesta in un Consiglio Regionale), e al contempo, è piccolo e crudele, rivelando la forma mentis primitiva e retrograda dell’uomo irrispettoso di donne e leggi dello stato che però sta lì, in un posto istituzionale a fare leggi anche per noi.

Ma tutto è cominciato prima, non solo in questi difficili tempi di Covid, prima con la globalizzazione che devono pagare le donne, con Pillon & co., con lo scenario ampio suprematista, maschio contro femmina, bianco contro nero, ricco contro povero, migrante contro nativo. Messo poi, provocatoriamente, nei mesi scorsi, su manifesti terroristici e inguardabili, dove la RU486 è paragonata ad un veleno che uccide, manifesti comparsi soprattutto in determinate Regioni, spesso subito tolti per le nostre proteste.

Mentre l’Agenzia Italiana del Farmaco non ha risposto alla nostra richiesta che fosse lei a denunciare il reato di tacciare come veleno un farmaco da lei autorizzato.

La Regione Umbria, dopo aver riproposto, questa primavera, in piena pandemia, il ricovero ospedaliero per la RU486, fatta marcia indietro dopo la protesta delle donne, ora non si adegua alle nuove linee Guida del ministero che ribadiscono il day hospital o i consultori là dove adeguatamente predisposti. Dunque la RU486 rimane in regime di ricovero ospedaliero e il termine per l’interruzione non si sposta alla nona settimana.

L’apoteosi pro life del capogruppo FDI del Consiglio Regionale delle Marche, con l’accusa all’interruzione di gravidanza di causare denatalità e sostituzione etnica, dimentica i dati della disoccupazione giovanile e femminile e soprattutto quanti giovani ogni anno emigrano dal nostro paese che non ha lavoro né uno stato sociale degno di questo nome.

Ora, di fronte al meritorio testo della Regione Lazio che, sempre sulla somministrazione della RU486 decide invece di adeguarsi alle Nuove Linee Guida ministeriali (ma non riusciamo a capire come ciò potrà avvenire, nella situazione attuale), ripetiamo le nostre parole in difesa della autodeterminazione delle donne, nel rispetto della legge e della sua applicazione che per la RU486 è validata da decenni nel mondo.

La RU486 non cambia nulla della legge 194, è solo una metodica, per molti aspetti meno invasiva di altre, meno costosa, e come tale va considerata. In quanto metodica risente dell’evolversi della pratica medica. La sua somministrazione, rimane sotto controllo medico, ma, può avvenire in strutture adeguate, magari anche ambulatoriali. Tutte le obiezioni alla somministrazione in regime di non ricovero fanno ribrezzo, in un momento in cui si curano a casa i malati di Covid e addirittura i malati terminali. L’obiettivo è solo aumentare la sofferenza delle donne.

La legge non prevede “dissuasione” della donna che chiede di abortire, prevede solo “prevenzione dell’aborto” rimuovendo cause rimuovibili e con il consenso della donna; la prima forma di prevenzione è evitare gravidanze indesiderate che avvengono anche grazie alla irresponsabilità della sessualità maschile.

Dunque no ai movimenti pro vita nei consultori e nelle cliniche. Dunque contraccezione gratuita, cultura contraccettiva, coinvolgimento in essa anche degli uomini. Potenziamento dei consultori e di una cultura paritaria, non sessista.

La legge non prevede obiezioni di struttura, ma solo individuali. Ogni struttura convenzionata è tenuta ad applicarla, dunque deve prevedere un tetto alle obiezioni del personale medico interno.

Il calo delle nascite non è legato agli aborti che sono anch’essi in calo, ma alle difficili condizioni di vita e di lavoro delle donne e degli uomini di questo paese, alla mancanza di veri sostegni alla scelta di procreare. Le nascite sono infatti aumentate, in Europa, solo in quei paesi che hanno investito in seri provvedimenti legislativi in merito, riconoscendo il valore sociale della maternità e paternità.

Seri significa che non hanno proposto alle donne di stare a casa e di lasciare il posto agli uomini, come invece fanno i globalizzati, suprematisti, maschilisti, misogini e razzisti di casa nostra.

Per concludere: quando arretrano le donne arretra tutto il paese; senza le donne non c’è vera democrazia e libertà. I nostri diritti non si toccano e non si barattano per equilibri politici passati presenti o futuri.

 

L’UDI è e sarà sempre a fianco delle donne che instancabilmente fanno argine contro ogni arretramento culturale e sociale.

Non illudetevi: non potete farci fuori perché noi siamo il vaccino anche per i vostri misfatti.