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PROSSIMI EVENTI 

Il discorso del padre di Giulia Cecchettin

“Mia figlia Giulia, era proprio come l’avete conosciuta, una giovane donna straordinaria. Allegra, vivace, mai sazia di imparare. Ha abbracciato la responsabilità della gestione familiare dopo la prematura perdita della sua amata mamma. Oltre alla laurea che si è meritata e che ci sarà consegnata tra pochi giorni, Giulia si è guadagnata ad honorem anche il titolo di mamma. Nonostante la sua giovane età era già diventata una combattente, un’oplita, come gli antichi soldati greci, tenace nei momenti di difficoltà: il suo spirito indomito ci ha ispirato tutti. Il femminicidio è spesso il risultato di una cultura che svaluta la vita delle donne, vittime proprio di coloro avrebbero dovuto amarle e invece sono state vessate, costrette a lunghi periodi di abusi fino a perdere completamente la loro libertà prima di perdere anche la vita. Come può accadere tutto questo? Come è potuto accadere a Giulia? Ci sono tante responsabilità, ma quella educativa ci coinvolge tutti: famiglie, scuola, società civile, mondo dell’informazione... Mi rivolgo per primo agli uomini, perché noi per primi dovremmo dimostrare di essere agenti di cambiamento contro la violenza di genere. Parliamo agli altri maschi che conosciamo, sfidando la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali. Dovremmo essere attivamente coinvolti, sfidando la diffusione di responsabilità, ascoltando le donne, e non girando la testa di fronte ai segnali di violenza anche i più lievi. La nostra azione personale è cruciale per rompere il ciclo e creare una cultura di responsabilità e supporto. A chi è genitore come me, parlo con il cuore: insegniamo ai nostri figli il valore del sacrificio e dell’impegno e aiutiamoli anche ad accettare le sconfitte. Creiamo nelle nostre famiglie quel clima che favorisce un dialogo sereno perché diventi possibile educare i nostri figli al rispetto della sacralità di ogni persona, a una sessualità libera da ogni possesso e all’amore vero che cerca solo il bene dell’altro. Viviamo in un’epoca in cui la tecnologia ci connette in modi straordinari, ma spesso, purtroppo, ci isola e ci priva del contatto umano reale. E’ essenziale che i giovani imparino a comunicare autenticamente, a guardare negli occhi degli altri, ad aprirsi all’esperienza di chi è più anziano di loro. La mancanza di connessione umana autentica può portare a incomprensioni e a decisioni tragiche. Abbiamo bisogno di ritrovare la capacità di ascoltare e di essere ascoltati, di comunicare realmente con empatia e rispetto. La scuola ha un ruolo fondamentale nella formazione dei nostri figli. Dobbiamo investire in programmi educativi che insegnino il rispetto reciproco, l’impor- tanza delle relazioni sane e la capacità di gestire i conflitti in modo costruttivo per imparare ad affrontare le difficoltà senza ricorrere alla violenza. La prevenzione della violenza di genere inizia nelle famiglie, ma continua nelle aule scolastiche, e dobbiamo assicurarci che le scuole siano luoghi sicuri e inclusivi per tutti. Anche i media giocano un ruolo cruciale da svolgere in modo responsabile. La diffusione di notizie distorte e sensazionalistiche non solo alimenta un’atmosfera morbosa, dando spazio a sciacalli e complottisti, ma può anche contribuire a perpetuare comportamenti violenti. Chiamarsi fuori, cercare giustificazioni, difendere il patriarcato quando qualcuno ha la forza e la disperazione per chiamarlo col suo nome, trasformare le vittime in bersagli solo perché dicono qualcosa con cui magari non siamo d’accordo, non aiuta ad abbattere le barriere. Perché da questo tipo di violenza che è solo apparentemente personale e insensata si esce soltanto sentendoci tutti coinvolti. (...) Cara Giulia, è giunto il momento di lasciarti andare. Salutaci la mamma. Ti penso abbracciata a lei e ho la speranza che, strette insieme, il vostro amore sia così forte da aiutare Elena, Davide e anche me non solo a sopravvivere a questa tempesta di dolore che ci ha travolto, ma anche a imparare a danzare sotto la pioggia. Sì, noi tre che siamo rimasti vi promettiamo che, un po’ alla volta, impareremo a muovere passi di danza sotto questa pioggia. Cara Giulia, grazie, per questi 22 anni che abbiamo vissuto insieme e per l’immensa tenerezza che ci hai donato. Anch’io ti amo tanto e anche Elena e Davide ti adorano. Io non so pregare, ma so sperare: ecco voglio sperare insieme a te e alla mamma, voglio sperare insieme a Elena e Davide e voglio sperare insieme a tutti voi qui presenti: voglio sperare che tutta questa pioggia di dolore fecondi il terreno delle nostre vite e voglio sperare che un giorno possa germogliare. E voglio sperare che produca il suo frutto d’amore, di perdono e di pace. Addio Giulia, amore mio”.    

Intervista a Marisa Rodano a cura di Vittoria Tola

La mimosa tra simbolo e storia della Giornata internazionale della donna Intervista a Marisa Rodano a cura di Vittoria Tola  Nell’ottobre del 1945 si è tenuto il 1 Congresso dell’UDI e nel 2021 la mimosa compie 75 anni come fiore simbolo utilizzato nell’8 marzo del 1946 per le elezioni amministrative in cui le donne votavano per la prima volta. L’ Udi voleva che insieme ai materiali che distribuiva ci fosse un fiore e Marisa Rodano propone o, come dice qualcuna, “inventa” la mimosa.Ne parliamo con lei che il 21 gennaio compirà 100 anni. Marisa: Beh non è che me la sono inventata proprio io, ci siamo messe a discutere sul fatto che in Italia c’era bisogno di un fiore per l'8 Marzo. Quell'anno gli alberi di mimosa erano tutti fioriti e pensammo che questo fiore costava poco, si poteva raccogliere gratuitamente e quindi decidemmo per la mimosa. Quell’8 marzo 1946 era il primo che si celebrava nell'Italia ormai libera e la scelta della mimosa come fiore della Giornata internazionale della donna venne da sé. Mi è rimasta nella mente, con un'evidenza fotografica, l'immagine della riunione del Comitato direttivo dell' Udi nelle sale di Palazzo Giustiniani, che discuteva sulla necessità di scegliere un fiore per l'8 marzo («Come a Parigi i mughetti il primo maggio» disse, ricordo bene, Giuliana Nenni). Rammento che passammo in rassegna diverse possibilità: scartato il garofano, già legato al Primo maggio, esclusi gli anemoni perché troppo costosi, la mimosa sembrava convincente, perché, almeno nei dintorni di Roma, fioriva abbondante e poteva esser raccolta senza costi sulle piante che crescevano selvatiche. Fu così — è questo il fotogramma che rivedo — che disegnai un approssimativo rametto di mimosa con l'apposito punteruolo, che incideva la cera, sul cliché, con il quale sarebbe stata ciclostilata la circolare per i comitati provinciali…Tuttavia come ho già scritto in proposito esistono diverse vulgate: Può darsi che la mimosa abbia una doppia maternità (o paternità…) o addirittura una maternità molteplice: ho letto in un libro che l'inventrice del «simbolo della mimosa» sarebbe Teresa Chicchi Mattei. Nel Lazio e nel Sud, dove la pianta cresce spontanea, spesso fiorisce assai prima dell'8 marzo. Quando ero dirigente dell' Udi di Roma, ne facevamo venire quintali e trascorrere intere giornate a dividerla e a farne mazzetti era duro. Certo in quei giorni mi sarei ben guardata dal rivendicare con le mie compagne la maternità di quella scelta. Domanda: Avete cominciato a dare la mimosa nel '46, ma questo fiore che è diventato un simbolo dell’8 marzo, è stato riconosciuto come simbolo di lotta anche nel senso comune perché le donne che combattevano per il voto, i diritti delle donne, la pace e diffondevano “Noi Donne” con i volantini e la mimosa, in quegli anni e, soprattutto successivi al '48, venivano anche fermate dalla polizia...Marisa: Sì mi ricordo che venivano sequestrati i mazzetti di mimosa, venivano fermate le donne, e mi ricordo che allora noi ci organizzammo perché G. Di Vittorio, che allora era Segretario Generale della CGIL, facesse un giro per il comune di Roma ad offrire la mimosa alle donne. Domanda: In quegli anni l'UDI come era vista dalle istituzioni?Marisa: Dipendeva dal colore politico delle istituzioni, nel senso che dove c'era una prevalenza di sinistra era più accettata, dove c'era una prevalenza di destra era combattuta e negli anni della guerra fredda l'UDI è stata osteggiata, combattuta da parte dei governi, della polizia. Per esempio furono messe sotto attacco le colonie dell'UDI subito dopo la guerra e tutto il lavoro fatto per l'infanzia e per le famiglie più povere. Si fecero chiudere le colonie con pretesti vari e anche quando lavoravamo con bambini molto poveri che erano alla fame. Noi prendemmo bambini di famiglie napoletane o di Montecassino molto povere, magari senza casa e in una condizione durissima a causa del disastro della guerra, li portavamo a "svernare" e a rimettersi in Emilia presso famiglie disponibile con quelli che sono stati chiamati i Treni della felicità. Un’esperienza straordinarie e molto estesa. Lì si stabilivano dei rapporti che magari sono durati fino ad oggi. Un’ esperienza che continua a stupire chiunque l’affronti come sta succedendo oggi con pubblicazioni di grande successo. Domanda: Che effetto ti fa il fatto che la mimosa sia diventata anche il simbolo della "festa" dell’8 marzo come a un certo punto si è cercato di definirla?Marisa: Beh, ma noi volevamo che diventasse un simbolo positivo, anche di "festa" quando l'abbiamo scelta. E senza paura della mercificazione anche se questo succede quando vedi che la mimosa viene venduta dagli angoli delle strade e abbinata a tanti prodotti. Insomma senti che ormai il rischio esiste anche nel cambio di generazioni di donne diverse quando vedi che la criticano o la rifiutano come è successo recentemente. Oggi diversamente dai collettivi femministi degli anni ‘70 quando le giovani tornarono in piazza in occasione dell’8 marzo e la mimosa la adottarono, anche se cominciò ad essere venduta agli angoli delle strade, si potrebbe dire che come tutti i simboli questi hanno fasi in cui sono simboli di lotta e fasi in cui il senso originario si perde come l'8 marzo stesso che va a periodi. Negli ultimi anni ha ripreso il senso originario da cui era stato proposto tra fine 800 e primi 900. Ora è una giornata in cui viene da più parti proclamato lo sciopero mondiale diventando la giornata di mobilitazione internazionale delle donne per i loro diritti. Non è il fiore che determina le lotte ma sono le lotte che determinano il significato del fiore diciamo. Forse per questo è utile che ci sia la possibilità di fare questo libro a disegni da dare a tutti i bambini e le bambine nelle scuole elementari per raccontare loro questa storia. Bisogna cercare di trasmettere memoria e storia. Oggi le/i giovani pensano che i loro diritti ci siano sempre stati, ignorano completamente che ci fosse un’epoca nella quale bisognava lottare per conquistarli. Il meccanismo di dimenticanza anche negli ultimi 25 anni è troppo forte. La memoria è corta e resa anche più corta dai media e dal modo in cui si pensa e si comunica. Domanda: Sulla mimosa e sulla sua nascita ci sono versioni diverse come ci sono versioni diverse sull'8 Marzo, perché c'è chi lo fa nascere con l’incendio della fabbrica della "Triangle", dopo tutti i tentativi fatti precedentemente al 1911...Marisa: Negli Stati Uniti e poi nel 1910 Clara Zetkin aveva posto il problema al convegno delle socialiste di Copenaghen. Dopodiché in Italia il primo momento in cui si riprende la giornata internazionale dell'8 Marzo è al Congresso del Partito Comunista di Livorno nel '21. Quindi tutte date molto diverse che però dopo la guerra, proprio in Assemblea Costituente fu celebrata da Nadia Spano come Giornata Internazionale, non una “festa”, ma una giornata sui diritti e le lotte delle donne riconosciuta da tutti. Ma io ricordo anche che poi al Parlamento Europeo quando proposi di celebrare l'8 marzo negli anni 80, ci fu un collega, tedesca, che mi disse " Ma Dio, quella è una festa dell'Ex unione sovietica!" Proprio non si può festeggiare! (ride).Ma proprio per l’importanza che le donne sovietiche le attribuirono nel '17 (ride), così è nella vulgata corrente ma in realtà l'idea di una Giornata Internazionale è nata negli Stati Uniti d’America dalle suffragette e socialiste americane. Per dire come l'immaginario collettivo una volta che è passato un certo messaggio fa difficoltà a cambiare. Oggi certo è molto difficile perché  siamo nelle mani di un tipo di informazione in cui le notizie false sono all'ordine del giorno... come certi giornalisti molti dei quali sono ignoranti. D: Quindi come vedi il futuro?Marisa: Lottando come sempre. Tanto le donne e l’Udi sono sempre contro venti e maree!(ride).  8 Marzo 2021    

Marisa Rodano per il calendario UDI 2023 "Fuori la guerra dalla storia"

Le donne hanno combattuto nella resistenza antifascista, anche con le armi in mano. Ma lo hanno sempre fatto, anche se sembra una contraddizione, in nome della pace. Non a caso sono le donne che hanno animato quella che poi è stata definita la resistenza civile, fatta di solidarietà ai combattenti, di aiuto ai prigionieri e ai “disertori”, di contrasto alle razzie e alle deportazioni, di lotte per il pane.  Fu quella azione che contribuì in modo determinante, alla azione dei partigiani e delle truppe alleate e restituì all’Italia almeno una parte della dignità perduta col fascismo e la fuga dei Savoia. Potremmo dire che il modo in cui noi abbiamo concepito la necessità di combattere allora è stato proprio quello che poi è stato sancito dalla Costituzione nell’articolo 11. Le donne hanno combattuto per ripudiare la guerra come strumento capace di assicurare pace e giustizia tra le nazioni. Esattamente il contrario della guerra come continuazione della politica con altri mezzi. La guerra è la negazione della politica della possibilità per l’umanità di combattere i suoi veri nemici: la fame, l’ingiustizia, le malattie e oggi la crisi climatica. Per tutta la vita ho combattuto per la pace. Sono stata sempre perché si cercassero soluzioni politiche e pacifiche ai conflitti, perché si attuassero politiche di disarmo, perché si cercasse l’accordo anche con quelli che venivano considerati nemici. Anche il sostegno alle lotte di liberazione di tanti paesi dall’Algeria al Vietnam, è stato per me un modo per chiedere la pace, per affermarla nel mondo, per far cessare le politiche coloniali e di potenza. Penso che il fatto che leader politici, anche di paesi che si dichiarano democratici, usino con tanta disinvoltura armi terribili, giustifichino la guerra, l’aumento delle spese militari, sia un terribile passo indietro. Non abbiamo ancora imparato che la guerra, non solo è crudele, ma è tragicamente inutile. E’ un’illusione, oggi sempre più pericolosa, pensare di risolvere sul piano militare i conflitti. Produce odio e crea le condizioni per altri conflitti. E purtroppo gli ultimi decenni ne sono una testimonianza. Noi donne siamo portatrici non di un pacifismo istintivo. Noi donne sappiamo che i conflitti esistono, ma abbiamo capito che vanno riconosciuti. Sappiamo che le società o sono inclusive, o ci si prende cura dell’altro, si ascoltano i suoi problemi e le sue paure, oppure il prevalere della competizione e dello scontro ci trascina indietro e nega i diritti di tutte e di tutti. Per questo dobbiamo combattere sempre, contro tutte le guerre, chiunque le scateni e le combatta. Marisa Rodano, agosto 2022     

Il chiosco rosa dell’UDI di Napoli

Una proposta e un’istanza diretta ai Sindaci responsabili della salute e la salvaguardia delle cittadine presenti sul territorio.È stato difficile e laborioso, nella nostra realtà così legata alle gerarchie patriarcali, far si che la dimensione domestica della violenza contro le donne fosse considerata un problema politico. È stato difficile soprattutto far si che lo stato riconoscesse il dovere istituzionale nel garantire i presidi per il contrasto al femminicidio e alle violenze perpetrate contro le donne. Una responsabilità espressa sempre in modo stentato e parziale, tanto da poter dire che, se le istituzioni guardano la violenza, ne vedono solo una parte. Gli stupri fuori dalle case, le intimidazioni che le donne subiscono per strada, spesso, sono stati trattati come eventi avvenuti nella terra di nessuno, o per meglio dire nel territorio degli uomini, dove la presenza femminile resta legata ad orari e mansioni precise. Questa concezione è purtroppo ancora nelle teste di molti, anche di coloro che avrebbero il compito di rendere esigibili le libertà e i diritti delle donne.La strada è casa per gli uomini, tanto che violenze dei partner sono perpetrate anche in pieno centro cittadino.Vengono alla luce vicende, con sempre maggiore frequenza, nelle quali le donne, di tutte le età e condizione, rimangono vittime di aggressioni e stupri, che a volte si concludono con la morte. Diventa sempre più evidente che le cittadine, sia di origine italiana che straniera, nel nostro paese non sono oggetto di attenzione mirata alla loro salvaguardia. Anzi dobbiamo con rammarico constatare che per la politica nazionale i crimini commessi sulle donne sono non di rado un pretesto, da un lato, per sostenere altre politiche pregiudiziali verso i cittadini immigrati e da un altro lato, sono occasione per agire su altri problemi di ordine pubblico e di intervento educativo, che sappiamo dovrebbero essere oggetto della continuità di governo.Ai centri antiviolenza, colpevolmente poco diffusi sul territorio, oggettivamente è preclusa la possibilità di intercettare la violenza di strada, che nelle sue dinamiche è caratterizzata da tempi brevi dall’individuazione della vittima all’esecuzione delle violenze. Nella maggior parte dei casi, la vittima non ha elementi per prevedere quanto sta per avvenire, né può denunciare alcunché nelle ore precedenti. Si tratta di situazioni create allo scopo di sorprendere la vittima, che è sola ed esposta a causa della totale carenza di vigilanza e di riferimenti disponibili.I luoghi dove la vittima è in situazione di vulnerabilità sono venuti alla ribalta in molte grandi città come Napoli: sono gli snodi ferroviari, quelli del trasporto pubblico, i luoghi della così detta movida, i percorsi obbligati per recarsi al lavoro e a scuola.Le donne che giungono alle stazioni, o che partono, si trovano in un particolare senso di provvisorietà e spaesamento che, uniti alla carenza di informazioni, favoriscono bande di offenders o singoli predatori.Noi proponiamo “il chiosco rosa”, un info point gestito da donne abilitate a fornire collegamenti con gli uffici competenti e con i CAV e la PS, ma anche a soccorrere opportunamente le donne che avvertono pericolo o spaesamento. I precedenti accordi interistituzionali avevano già stabilito l’importanza dei servizi come il potenziamento di illuminazione e vigilanza nei quartieri periferici, nonché i così detti taxi rosa che ovviamente competono alle Istituzioni. Noi intendiamo, così con i Chioschi rosa dare un contributo e un segnale, indispensabile, a costruire la concretezza della promessa di vicinanza e di salvaguardia, più volte pronunciata dalle istituzioniIl Chiosco rosa consiste in una struttura di colore rosa, quindi visibile e riconoscibile, dove un’incaricata (in avvicendamento) fornisca le prime informazioni, provveda all’attivazione della mediazione linguistica, se necessario, e attivi nell’immediato le risorse. UDI di NapoliAssociazione Salute DonnaArcidonna   

Per Giulia

Domani 21 Novembre a Largo Berlinguer a Napoli per Giulia alle 16. Per dire che gli assassini possono essere fermati, anzi devono, secondo le leggi purtroppo ignorate. Ma nessuno li ferma. E il governo prepara l'ennesimo pacchetto cercando di confondere le acque Contrasto alla violenza: è una delle espressioni trafugate al movimento delle donne dalla politica istituzionale . Ne hanno rubate tante, per non farne nulla. Tutto quello che esiste nell'antiviolenza è frutto dell'esperienza dei CAV e viene dalla consapevolezza che ognuna potrebbe essere colpita. Stare insieme è l'unica ricetta, dettata dalle vittime che sono prima di tutto testimoni. Testimoni alle quali crediamo, al contrario dei giudici che le annichiliscono in procedimenti che mettono sullo stesso piano vittime e carnefici. Sorge allora la domanda: questo pacchetto antiviolenza dovrebbe essere il frutto di un accordo tra maggioranza e opposizione? con un governo che tratta le donne come fattrici, che è costituito da uomini che infangano le vittime per difendere i propri figli, che più volte ha mandato a dire che sono le donne a mettersi in pericolo e che ora ci propone di aspettare che la cultura cambi. Che cambi? mentre in parlamento si sviluppa una dialettica che tratta da padre nobile un corruttore e cliente di un mercato sessuale fatto di ragazzine? Si dice che per discute va sgombrato il campo dai vecchi rancori. Niente si può sgombrare, perché nessuno si è pentito, e dovrebbe capirlo anche anche l'eventuale interlocutore dell'opposizione. Non si può perché il governo è sempre più disinteressato a contrastare lo sfruttamento sessuale delle migranti (e di tutte) ed è anzi ostile ad accoglierle e sottrarle ai violenti, prevedendo addirittura di rimandarle dagli aguzzini. L'eventuale legge, viste le premesse, non merita né sacrifici né compromessi perché a sacrificarsi sarebbero le vittime e i compromessi sarebbero sulla loro pelle. Lo sguardo di una nuova norma dovrebbe rivolgersi agli immeritati privilegi accumulati dai magistrati che liberano gli assassini e i violenti; e che li premiano, screditando le madri dei loro figli. Penalizzare i cattivi giudizi, sanzionare chi col proprio operato fa danni, questo serve urgentemente Dopo Giulia dovremo tenere gli occhi aperti, il rischio è il ripetersi del solito copione. L'assassino potrebbe tornare ad uccidere, dopo aver scontato una pena ridicola.    

Ogni giorno dell’anno è il 25 novembre

Il bel film di Paola Cortellesi “C’è ancora domani” rappresenta bene la violenza, e non solo quella fisica, che le donne sono state costrette a subire all’interno del sistema patriarcale. La storia del film è ambientata nella realtà difficile dell’Italia del dopoguerra e la speranza di un domani diverso è affidata al diritto di voto, la cui conquista fu soprattutto merito della nostra associazione e del CIF. Da allora grazie anche alle lotte dell’UDI la condizione delle donne è migliorata notevolmente ma ancora molto dobbiamo fare e pretendere perché, venuta al mondo la libertà femminile, le donne siano davvero in grado di agirla. Dall’inizio dell’anno sono già ben oltre 100 i femminicidi e purtroppo tendenzialmente non calano rispetto al passato. Siamo tutte scosse dal ritrovamento del corpo di Giulia, la ragazza di Vigonovo sequestrata e ferocemente assassinata dall’ex fidanzato, catturato poi in Germania mentre era in fuga. I dati sul femminicidio sono agghiaccianti e mostrano con chiarezza che i diritti sono necessari ma non sono sufficienti a modificare in profondità la relazione uomo - donna. Spesso dimentichiamo che veniamo da una storia e una cultura millenarie che hanno segnato donne e uomini, prescrivendo il loro modo di essere, di agire, perfino di pensare, attraverso la rigida costruzione dei due generi: maschile e femminile in cui il maschile rappresentava il suprematismo. Le donne, grazie al lavoro fatto anche dentro di sé, si sono sottratte ai condizionamenti del genere e al dominio patriarcale. Ma gli uomini non sanno confrontarsi con la libertà femminile e di fronte ad una donna che dice no, usano la violenza per riconfermare il loro dominio. D’altronde il patrimonio culturale androcentrico che viene ancora oggi trasmesso a scuola, acriticamente, legittima la violenza maschile sulle donne. Basti pensare a cosa può significare per dei ragazzi e delle ragazze la lettura in classe della Lupa di Verga se non è accompagnata da una adeguata visione critica del contesto patriarcale in cui è stata scritta. È necessario, prima di aggiungere nuove discipline, che le/i docenti siano in grado di analizzare criticamente la loro pratica didattica e pedagogica e gli stessi contenuti delle discipline che insegnano, alla luce della rivoluzione compiuta dalle donne e dei saperi da loro elaborati. Occorre quindi investire nella scuola e nella formazione delle/dei docenti per decostruire l’ordine maschile del sapere. Purtroppo si va in direzione opposta, continuando a smantellare la scuola pubblica e votando leggi sulla violenza maschile senza politiche per la prevenzione e a costo zero o, detto con più eleganza, ad invarianza economica.Il femminicidio è l’apice di una violenza culturale e simbolica che svalorizza l’essere donna, minimizzando le sue competenze e i suoi saperi. È violenza costringere una donna a fare salti mortali per conciliare lavoro e maternità dal momento che la società non è organizzata in base alle sue necessità. È violenza nascondere che circa un terzo del PIL proviene dal lavoro gratuito non riconosciuto che le donne sono costrette a svolgere in mancanza dei servizi sociali. In più le donne fanno risparmiare lo Stato sia perché delinquono meno (un carcerato costa allo Stato 137 euro al giorno), sia perché dopo aver versato i contributi, che rimangono nelle casse della previdenza, non arrivano al minimo pensionabile. Nonostante questo, hanno stipendi più bassi e sono maggiormente esposte al rischio povertà ed esclusione sociale, oggi, come dice il rapporto Caritas 2023, molto alto, essendo anche venuto meno per molte il reddito di cittadinanza. Inoltre, essendo le donne più degli uomini impegnate in lavori precari, è aumentata la percentuale di donne morte sul lavoro a causa della mancanza delle necessarie misure di sicurezza. Pagina davvero triste e vergognosa del nostro paese! Come è triste e vergognoso che questo paese non riesca ad affermare il diritto di protezione alla vita dei bambini da padri violenti che si vendicano con i figlicidi, la strage degli innocenti. È violenza contro le donne non riconoscere l’importanza del legame tra la madre e la creatura che viene al mondo, nonostante tutti gli studi lo confermino, e con una riforma rendere facoltativa e non più vietata la pena detentiva per le donne incinte e con figli piccoli. C’è del sadismo nella proposta di legge d’iniziativa popolare del movimento Pro vita che intende obbligare le donne che decidono di abortire ad ascoltare i battiti del cuore del feto per rendere più dolorosa la necessità di ricorrere alla legge 194, già di difficilissima applicazione per l’altissima obiezione di coscienza. Ancora una volta una visione misogina e punitiva che considera le donne delle irresponsabili. Le donne sanno invece bene quello che fanno! In questo momento storico segnato da epidemie, disastri climatici, guerre, volute e dichiarate dagli uomini, che massacrano i civili, tra cui molti bambini e distruggono la natura e tutto ciò che si è edificato in anni e anni di fatica, non mancherebbe certo lavoro per chi vuole davvero proteggere e curare la vita! Tante, troppe cose limitano pesantemente la libertà delle donne e offendono la loro dignità. Negli ultimi tempi ci sono state sentenze oscurantiste, intrise di sessismo, che lasciano senza parole, ancora di più perché in alcuni casi emesse da giudici donne. Questo per ricordarci la difficoltà anche per noi donne di scrollarci di dosso millenni di patriarcato.Il 25 novembre non è quindi per noi una ricorrenza di un giorno, ma l’impegno di tutta una vita. Sempre! Roma, 20 novembre 2023    

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SPECIALE - 8 MARZO 

Nell'ambito del progetto del coordinamento donne Anpi provinciale Roma " La primavera delle antifasciste" parleremo di Lidia Menapace militante e intellettuale, "partigiana per sempre",  presentando il libro che la rivista Left le ha dedicato. Lo faremo con la curatrice Rita De Petra e  con coloro che hanno contribuito al volume : Vittoria Tola, Leda Di Paolo, con la testimonianza di Paolo Crocchiolo e l'intervistato Maurizio Acerbo, alla presenza della Presidente dell'Anpi provinciale di Roma  Marina Pierlorenzi. Ripercorreremo la sua lunga vita, il pensiero politico, l'impegno per l'emancipazione e liberazione delle donne e la pace. Punto di riferimento per la sinistra e ....lezione per l'oggi.​